Dicono che la morte sciolga

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ma restano.

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Le "verze in composta" di Montorso (Vi)

28 aprile 2010

http://www.agoravox.it/ecrire/?exec=articles&id_article=14932

Dalle radici della storia veneta, La Pro Loco di Montorso riscopre le Verze in Composta. Come l’Araba Fenice che si nutriva di perle d’incenso, viveva per 500 anni per poi ardere sul rogo e quindi rinascere dalle sue stesse ceneri più pura e più bella che mai.

La Pro Loco di Montorso (VI), sta cercando di riportare in auge un’antica ricetta molto usata dai nostri antenati. Si tratta di un piatto povero, le cui radici storiche affondano in tempi assai remoti. Stiamo parlando delle “Verze in Composta” che sembrano sussurrarci “Biarn soin Cimbarn” ovvero noi siamo Cimbre. Fu probabilmente una carestia verificatasi nel Sud della Baviera nel XII secolo presso Benediktbeuern a costringere i Cimbri alla migrazione verso le nostre terre. I Vescovi di Padova e Vicenza, assieme ai Benedettini patavini, molto legati ai confratelli di Landschut, hanno agevolato la venuta di queste genti nelle montagne vicentine, trentine e veronesi. Ebbero così origine i sette comuni dell’Altopiano di Asiago, i tredici comuni della Lessinia, Folgaria, Tonezza, Lavarone e Luserna. Ancora oggi restano diversi masi a testimonianza della loro presenza e non è l’unica eredità che ci hanno lasciato. Molti cognomi hanno una chiara derivazione cimbra, così come l’etimologia di diversi termini di uso quotidiano. Alcune persone, soprattutto anziani, parlano ancora l’antico idioma che Mussolini, in tempi bui, aveva cercato di estirpare imponendo ai maestri del tempo di insegnare ai bambini solamente l’italiano.

Così torna alla ribalta una ricetta degna dell’attenzione dei nostri palati. Montorso (VI) è l’unico posto del vicentino dove la storia e la tradizione vedono gli antenati cimentarsi sulla conservazione delle verze sotto composta. Le famiglie contadine coltivavano le verze; le più belle venivano vendute ai mercati, mentre, gli esemplari meno riusciti venivano mondati, tolte le foglie esterne più brutte e tagliate a metà o in quattro a seconda della loro grandezza. Si procedeva quindi ad una scottatura per due o tre minuti in acqua salata, alla quale si aggiungeva della graspìa, mosto fermentato ed annacquato, nel vernacolo di Montorso, conosciuta anche con il nome di “vin picolo”. Una volta scolate e raffreddate, si riponevano a strati in un contenitore aggiungendo ad ogni strato del sale grosso, coprendo il tutto con delle foglie più voluminose. A questo punto si inondava, annegando il tutto di graspìa e disponendo dei pesi sopra al prodotto per impedirne l’affioramento. Le composte si potevano consumare dopo quaranta giorni. Visto che la graspìa si ottiene dalla vite, viene naturale pensare che fosse una ricetta delle zone pianeggianti o lievemente collinari, certamente non superiore ai 600 metri dove la vite resiste a fatica. Una ricetta che rischiava l’estinzione, soffocata da una globalizzazione sempre più incalzante. A protezione di tale ritrovato, è stato registrato un marchio per evitare che altri possano reclamarne la paternità. Leverze in composta si accompagnano egregiamente al cotechino, più noto come “musetto con le composte”, tra l’altro piatto tradizionale di Montorso. Questo piatto riserva sorprese nuove poiché va sperimentato con altre soluzioni gastronomiche il cui risultato è sempre imprevedibile. L’utilizzo è vario, basti pensare che è appetitosa anche la degustazione di pasta sfoglia e composte le quali, scaldate al forno diventano dei bocconcini deliziosi specialmente con l’aperitivo, oppure un rotolino ripieno di ricotta e composte è un ottimo antipasto, specialità che è stata battezzata col nome “rotolino Da Porto“, perché una volta i Conti Da Porto erano i Signori di Montorso e quasi tutti lavoravano alle loro dipendenze, quindi erano entrati fortemente nella quotidianità del paese.

Per quanto riguarda i primi piatti la verza in composta viene utilizzata assieme al gnocco dolce di Montorso che viene elaborato con patate americane, si procede a far saltare in padella assieme ad una noce di burro, gnocco e composte ed il contrasto di sapori che ne risulta è solo da provare. Si sono elaborati anche esperimenti con la trota, il risultato è soddisfacente anche se si è ancora in fase di test. Un altro piatto forte da consigliare è il coniglio di San Biagio in agrodolce con le composte.

Ancora non è possibile ufficializzare un vino da accompagnare alle composte, si ricerca un prodotto possibilmente vicentino che sia asciutto, di buona struttura per dare il giusto contrasto al piatto che si presenta di per se acido. Pensiamo ad un rosso, Merlot barricato o Cabernet Sauvignon. Attualmente non è semplice procurarsi le composte poiché i produttori si contano sulle dita di una mano. Si sensibilizzerà anche l’Associazione Coltivatori Diretti per la rinascita di questa pratica affinché chiunque disponga di un piccolo orto possa sperimentare di persona. Non servono attrezzature particolari per le verze in composta. E’ sufficiente una vecchia tinozza per immergere il tutto ed un luogo idoneo dove poter conservare in luogo fresco ed in penombra il prodotto. Le verze in composta si trovano nel periodo invernale che si articola da dicembre a febbraio. Si stanno individuando dei formaggi freschi sotto composta da abbinare alle verze. Si tratta del “Re di Montagna” un formaggio, che ricorda l’Asiago, fatto da un piccolo caseificio di Altissimo (VI), non pressato e stagionato tre mesi. Un altro formaggio idoneo potrebbe essere il provolone di pasta filata di produzione locale. E’ necessario che abbiano una crosta porosa quindi permeabile per fare assorbire la composta. La verza in composta è un piatto che vive il tempo di una farfalla in quanto lo spazio per degustarlo e per collaudare nuove ricette è molto concentrato, circa un’ottantina di giorni. E’ necessaria quindi una continua e proficua sperimentazione per migliorarne l’equilibrio dei sapori.