L’autorizzazione rilasciata dal Magistrato alle Acque, a Giannino Marzotto per l’ampliamento degli impianti aziendali, avvicinando il sito al torrente per la società di ricerche e produzione Rimar porta la data del 1976. In seguito la società ha cambiato insegna più volte: la joint venture tra Mitsubishi ed Eni, poi solo Mitsubishi, poi la International Chemical Investitors Group fino a giungere alla Miteni. Quest’ultima, come confermato dall’ARPAV ha accertato la presenza di cumuli di residui chimici sepolti nell’argine adiacente allo stabilimento, Miteni appunto. Il sito industriale è collocato sopra ad un’importantissima falda acquifera che serve l’Ovest vicentino, la bassa padovana arrivando ai lembi veronesi minacciando la salute di 300.000 persone, ora costrette ad un capillare screening sanitario epocale, mai avvenuto nel nostro Paese.
Miteni è una società chimica italiana di proprietà di WeylChem (ICIG), particolarmente concentrata per l'industria agrochimica e farmaceutica. E’ stata fondata nel 1965 come centro di ricerca per l'azienda tessile Marzotto inizialmente con il nome di RiMAr (Ricerche Marzotto). Quasi dall'inizio, venne utilizzata la fluorurazione elettrochimica per la produzione di acidi carbossilici perfluorurati usati per impermeabilizzare i tessuti. Ha la sua sede principale nel paese di Trissino in provincia di Vicenza. I principali prodotti realizzati sono intermedi perfluorati alchilici ed intermedi fluoroaromatici. Nel 2018 contava una forza lavoro pari a 122 dipendenti. Il 26 Ottobre 2018 il consiglio di amministrazione della società ha deliberato il deposito di un'istanza di fallimento.
La superficie contaminata si estende per oltre 180 kmq. I materiali tossico nocivi emersi dagli scavi sull’argine del torrente Poscola alimentano il sospetto che le 400 tonnellate di sacchi bianchi colmi di scarti industriali non siano altro che la punta di un iceberg. Lo screening cui sono sottoposti i cittadini, ha rielevato che le percentuali di PFAS presenti nel sangue, soprattutto nei ragazzi è in quantità elevatissima rispetto ai limiti di legge. Ad un campione di 47.213 persone invitate a partecipare allo screening, l’adesione è stata di circa il 60%. A 16.400 cittadini sono stati riscontrati valori di PFAS elevati e alterazioni delle pressione arteriosa o degli esami bioumorali; a tutti è stato suggerito e offerto, gratuitamente, un percorso di approfondimento di secondo livello. Questi e molti altri dati inediti sono contenuti nel nono Rapporto sul Piano di Sorveglianza Sanitaria sulla Popolazione esposta all’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche (PFAS), che la Regione Veneto, tramite le Ullss dell’area interessata, offre gratuitamente agli abitanti delle aree inquinate da tali sostanze.
Il monitoraggio include un’intervista per individuare abitudini di vita non salutari e fornire informazioni e consigli su come proteggere la propria salute; la misurazione della pressione; esami del sangue e delle urine per valutare lo stato di salute di fegato, reni e tiroide, e l’eventuale presenza di alterazioni del metabolismo dei grassi e degli zuccheri; il dosaggio di 12 sostanze PFAS nel siero; l’invio agli ambulatori di secondo livello per la presa in carico dei soggetti con valori alterati e PFAS nel sangue. Si conferma, che siano 4 i composti rinvenuti in più del 50% della popolazione monitorata: si tratta di PFOA, PFOS, PFHxS e PFNA.
Le concentrazioni nel siero risultano aumentare con il passare del tempo trascorso nell’area identificata. Tra gli adolescenti e gli adulti, si osservano concentrazioni sieriche di PFOA, PFOS e PFHxS significativamente più elevate nei maschi rispetto alle femmine, e nei residenti dell’Area Rossa A rispetto a quelli dell’Area Rossa B. Tali differenze, per il momento, non sono state invece riscontrate nella popolazione pediatrica, ma poiché il numero di soggetti con referti di laboratorio già completi è ancora relativo sarà necessario rivalutare la questione quando la numerosità del campione sarà più consistente. Per quanto riguarda gli esami bioumorali, si evidenzia che il colesterolo risulta essere il parametro con più valori “fuori norma” e tale percentuale aumenta all’aumentare dell’età.
I cittadini delle aree altamente inquinate si sono organizzati in comitati e incontri. Lonigo (VI) che è il paese che è stato maggiormente colpito ha dato origine a varie iniziative come ad esempio nell’ottobre del 2017 “Acqua libera dai PFAS a Lonigo” con la partecipazione di oltre 10.000 persone giunte anche dai comuni limitrofi coinvolti. Molto attivo anche il gruppo “Mamme no PFAS” sempre di Lonigo. Già nel novembre del 2014 il Coordinamento ha presentato alla Procura di Verona e Vicenza, un esposto denuncia nei confronti di coloro che hanno sversato sostanze perfluoro alchiliche nelle acque di falda, al suolo o nel sistema fognario determinando l’inevitabile inquinamento delle risorse idriche. L’esposto era accompagnato dalla consulenza medico scientifica del Dott. Vincenzo Cordiano che metteva in evidente correlazione la presenza degli inquinanti nelle acque con la probabile insorgenza di gravi patologie mediche, correlazione che veniva anche citata in un documento dell’Istituto Superiore di Sanità del 16/01/2014 con protocollo numero 0001584 avente come oggetto “Acqua destinata al consumo umano contenente sostanze perfluorate nella provincia di Vicenza e comuni limitrofi”. La popolazione di Lonigo si era data anche appuntamento all’Ufficio Postale locale per inviare 300 raccomandate con richiesta risarcimento economico alla Miteni.
Questa subdola tipologia di inquinamento è talmente radicata nella quotidianità della popolazione che diventa difficilissimo evitarne la contaminazione. L’acqua del rubinetto proviene dalla falda e per quanti filtri si possano installare, tra l’altro al costo elevatissimo di 600.000€ l’anno, il pericolo esiste. Chi ha l’orto a casa per “mangiare genuino” in realtà lo abbevera con acqua di pozzo o di acquedotto quindi inquinata; la verdura e la frutta assorbe l’acqua e quindi è avvelenata. Il latte uguale, le bestie bevono l’acqua. La pasta la si cucina con l’acqua di rubinetto. E’ un dramma! Il corpo umano assorbe queste sostanze e non le smaltisce, ci voglio decenni. Nel frattempo, inutile nasconderlo ed inutile anche allarmarsi ma sta morendo diversa gente giovane per tumori e altre patologie non così frequenti in tempi pregressi.
Le domande sono poche ma chiarissime: perché i comuni non hanno monitorato in oltre 40 anni le acque che venivano erogate per uso alimentare attraverso gli acquedotti? O forse hanno monitorato e taciuto per qualche “motivo” di convenienza? Chi paga il risarcimento ai cittadini che allo stato attuale portano nel loro corpo queste sostanze di cui non sono ben noti gli sviluppi?
Miteni si arrampica sugli specchi dicendo che ci sono moltissime altre industrie, come ad esempio le concerie che concorrono ad inquinare, come se fosse giustificato continuare la pratica o tirando per i capelli altre realtà per sentirsi meno colpevoli. Per fortuna nell’ottobre del 2018 il consiglio di amministrazione di Miteni Spa ha preso atto dell'impossibilità di attuare il piano industriale dell'azienda e ha pertanto deliberato la presentazione dell'istanza di fallimento presso il Tribunale di Vicenza. Tutte le attività produttive sono state interrotte. Ora restano aperte per moltissimi anni le ferite causate in campo di disastro ambientale ed avvelenamento per 300.000 individui, inoltre si vivrà nell’allarme che ogni sintomo che si presenta potrebbe essere un’eredità maligna della Miteni.