Dalla fine del 1500 la Rocca Pisana è divenuta stabilmente il punto di riferimento dei leoniceni. Nel 1576, Vettor Pisani parte attiva della potente famiglia Veneziana e grande proprietario terriero in quel di Lonigo, scelse come punto strategico una collina boscosa che dominasse il paese per farvi erigere una villa destinata alle vacanze. Tale incarico fu affidato a Vincenzo Scamozzi, architetto vicentino e allievo di Andrea Palladio. La profonda crisi economica che nel 1929 aveva coinvolto il mondo intero rendeva difficile e povera la vita. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale completò l’opera.
La
famiglia Brait di Lonigo, visse anni indimenticabili, presso la Rocca Pisana, fittavoli dai conti De Lazara. Dal 1931 al 1960 i fratelli Gino e Maria Pia, assieme al resto della
famiglia condivisero momenti che hanno lasciato impresso nelle loro menti, ricordi che suscitano emozione, commozione e nostalgia. “Vivere lassù, ricorda Maria Pia, era un sogno.
Eravamo in un’oasi felice, mentre fuori dal cancello le morse della crisi attanagliavano chiunque. Non ci mancava nulla, è vero vivevamo di poco ma avevamo molto lavoro da svolgere e il mangiare
non mancava. Eravamo felici.” Negli occhi lucidi di Maria Pia è leggibile quel sentimento che portoghesi e brasiliani chiamano “saudade”: un misto di melanconia, tristezza, nostalgia,
un senso di vuoto interno, una gran voglia di ritornare fisicamente a quel tempo con l’amara consapevolezza che tutto resterà vivo solo nei ricordi.
Grazie
alla generosità del Conte Antonio Ferri De Lazara, assieme ai fratelli Brait, abbiamo potuto visitare la villa in un momento non programmato rispetto al normale calendario. Così ripercorrendo
oggi, con gli occhi della memoria, i viottoli e le stanze della Rocca Pisana, abbiamo tentato di ricostruire uno spaccato di storia di vita contadina, in parte inedita e certamente poco nota ai
leoniceni. Appena passiamo l’abitazione dei custodi, vediamo d’innanzi a noi la strada bianca che porta all’entrata della Rocca Pisana. Gino inizia il suo racconto: “Verso la fine degli anni
’50 venne costruita la strada in ghiaia che porta fino alla villa, assieme ad un muretto di contenimento non molto alto che divideva in qualche modo la parte nobile dalla contado, in seguito
rimosso per volere della Sovraintendenza alle Belle Arti”.
Prima di
entrare, giriamo attorno alla villa per il sentiero esterno. “Questi viottoli, venivano chiamati gironi, racconta Gino,e furono costruiti dalla mia famiglia. Sono dei sentieri ad anello
che girano tutt’intorno alla Rocca, la contessa amava passeggiare immersa nella natura”. Maria Pia aggiunge: “Lungo questi sentieri era pieno di fiori profumatissimi di ogni tipo ma mi è
rimasto impresso particolarmente il profumo del mughetto. La contessa Rosetta fece interrare numerose piante, oggi formano questo angolo di natura paradisiaca e meravigliosa, quasi
incontaminata”. Il nostro cammino procede fino quasi ad arrivare dall’altro capo, Gino si ferma e indica una zona che scende verso la strada asfaltata che si trova più a valle. “A circa
una trentina di metri sotto di noi, i Brait, costruirono un piccolo rifugio antiaereo, per ripararsi durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un bunker scavato nella
collina con l’entrata a sud e l’uscita poco più a nord. La maggiore preoccupazione, nel ’44, era quella di non conoscere la reazione dei tedeschi nel momento in cui sarebbero arrivati gli
americani. Avrebbero di certo opposto resistenza e che ne sarebbe stato delle nostre abitazioni? Allora i bunker erano un rifugio abbastanza sicuro”.
Finalmente completiamo il giro della villa ed arriviamo di fronte all’entrata principale pronti a percorrere quei 22
scalini che ci portano fino alle colonne ioniche d’entrata. Maria Pia riprende: “Alla sommità di questa scalinata, nei lati più esterni ricordo uno sciame di ragazzini. Tutti giocavamo a
«scaja», eravamo felici e spensierati, pur nella nostra semplicità”. Aggiunge Gino: “C’era a quel tempo un fattore, che veniva da Torre di Mosto, un certo Tabellini, che era molto più
grande di me e mi diceva: «bòcia, pòrtame na caréga», gliela portavo, la sistemava sotto al colonnato ionico, in zona d’ombra e sedendosi guardava l’interminabile panorama fino agli Appennini ed
esclamava: «a me sento on Dio! ». Entriamo all’interno della villa e iniziamo a visitare tutte le stanze. La prima è posta a sinistra e sembrava essere la preferita della contessa Rosetta De
Lazara Pisani. Grandi quadri di antenati, fotografie d’epoca, libri antichi e camini dagli immensi paracenere sono una miscela di oggetti che farebbero sognare chiunque. La Rocca Pisana,
conservata divinamente in tutti i suoi particolari dai conti Ferri De Lazara, offre un tuffo nel passato che mozza il fiato in gola. La dislocazione degli oggetti e le sue forme architettoniche
semplici ed armoniose aprono orizzonti mentali indefiniti, ci si potrebbe girare un film, scrivere un libro oppure più semplicemente stare come il Tabellini, seduto a contemplare l’orizzonte.
Durante la visita affiorano ricordi sempre più vivi.
Scendiamo
nell’interrato. “In questa stanza, commenta Gino,è nata Maria Pia. Il letto era laggiù. In questa stanza dormivamo in molti”. Continua Maria Pia: “Ero bambina, ho vissuto in una
fiaba che nel tempo mi ha permesso di costruire un bagaglio di ricordi dove posso riparare nei momenti difficili della vita. Nell’immensa cucina c’era una cuoca veneziana, una certa Ottorina. Era
mattiniera, soprattutto quando i conti avevano ospiti, spignattava già dalle quattro del mattino. C’era anche il cameriere Angelo, in livrea pronto a servire”. Gino precisa: “Uscivo dalla
finestra in alto, e mi arrampicavo fin sulla cupola e andavo a caccia di nidi d’uccello. La cupola era ancora presente, fu fatta rimuovere verso la fine degli anni ’50 circa. Qualcuno ci scattò
anche una fotografia mentre eravamo sulla cupola ma chissà dov’è finita. La nostra attività principale ruotava attorno alla terra, coltivavamo il tabacco, il mais, il grano, facevamo il vino,
falciavamo l’erba, preparavamo delle piccole fascine per attizzare il fuoco che venivano trasportate anche fino a Venezia dai Pisani e svolgevamo manutenzione in genere. Molto interessante e
particolare era la produzione della seta, c’erano a disposizione molti gelsi per alimentare i voracissimi bachi. Ci voleva circa una quarantina di giorni per ottenere il filato che poi andava
venduto alla filanda che si trovava a Lonigo, dove una volta c’era il mobilificio di Gechele all’inizio di Viale della Vittoria”. Spesso gli sguardi dei fratelli Brait si incrociano,
ricchi di emozione.
Riprende
Maria Pia: “I conti avevano una presenza saltuaria alla Rocca Pisana, prevalentemente d’estate direi. Noi abitammo dentro la villa fino al 1939, in seguito presso la castaldia che divenne la
nostra stabile dimora fino all’inizio degli anni sessanta. Durante gli anni della Grande Guerra arrivarono da noi anche i tedeschi che presero possesso della villa e nascosero delle munizioni.
Una sera fecero saltare dei mandorli che erano piantati di fianco alla villa perché dicevano ostruisse loro la visuale. In realtà un soldato ubriaco fradicio vide ombre dove non c’era nulla, così
le fecero saltare in aria. Comunque, anche quando i soldati erano in villa, noi continuavamo la nostra vita con regolarità, venivano da noi solo a prendere il vino, delle uova, qualcosa per
mangiare, ma non furono scortesi con noi”. Gino sottolinea: “Mi ricordo che era il 31 ottobre del 1944, mi trovavo vicino all’entrata della proprietà della Rocca Pisana, in prossimità
della strada. Il cielo era terso, nitido il rumore del motore dei bombardieri misto al gragnolare delle bombe che stavano cadendo verso noi. Una segretaria tedesca fu colta da crisi di panico.
Urlava ed agitava le braccia, piangeva e si dimenava, come se avesse già la morte addosso. Mi gettai addosso a lei e cademmo in una buca anticarro, così le salvai la vita. Poco più in là, gente
inerme, intenta a raccogliere legna da ardere sotto le viti. Appena ebbe fine il bombardamento fuggii verso valle. Quel giorno Lonigo fu bersagliata dalle bombe in più zone. Perirono
trentaquattro persone, molti adolescenti e sette erano bambini”.
Riprende a narrare Maria Pia: “Il cognome da nubile della contessa Rosetta era Nani Mocenigo ed era una persona molto dinamica ed intraprendente, fu lei a volere la ristrutturazione della villa. Era generosa, soprattutto con i bambini, forse perché lei non ne ha avuti. Ricordo particolarmente che a Pasqua ci donava degli ovetti al cioccolato. Il conte Leonardo era una persona di elevatissimo stile, sapeva farsi rispettare e rispettava gli altri, certamente una persona straordinaria, d’altri tempi. La sua magnanimità emerse in un particolare momento di difficoltà nostra, quando il 13 giugno del 1953 la tempesta rase al suolo le coltivazioni che avevamo con tanta fatica prodotto. Ci venne incontro e ci ridusse per un discreto periodo l’affitto. A mio fratello Gino, la contessa regalò una piccola carriola con rastrellino e badile per raccogliere i sassi e gli fece una mancia di ben 5 £, una somma grandissima per quei tempi, soprattutto per un ragazzino”. Gino e Maria Pia Brait escono dalla villa contenti di avere raccontato e rivissuto momenti di singolare emozione. Quando chiediamo loro se sarebbero disposti a tornare a vivere in villa come un tempo, non hanno esitazione, la risposta affermativa è unanime. Sembra che in quell’angolo di mondo, tutto si muovesse in modo differente rispetto alla realtà, era un’oasi soprattutto di pace e tranquillità. La grande famiglia Brait viveva unita e felice, lavorava sodo e l’impegno era grande. Niente e nessuno avrebbe scalfito quell’indimenticabile armonia, neppure gli orrori della Grande Guerra.