Claudio Francois Bernardi
11 maggio 1928, nasce a Nizza Claudio Francois Bernardi. Da ragazzo lascia la famiglia. Si arruola nella X° Flottiglia MAS. Diventa capo palombaro sommozzatore al comando del marchese Luigi Durand De Lapenne col quale si imbarca sull’Incrociatore il Duca degli Abruzzi. A guerra terminata, di stanza ad Augusta (Sr) controlla la Sicilia, la Calabria e tutte le isolette del circondario per quanto riguarda la rimozione e il disinnesco delle mine.
Vittorina Bruzzo
24 aprile 1933, ad Orgiano (Vi) nasce Vittorina Bruzzo da Stefano e Maria Girardi. Ha due fratelli: Fernanda nata l’8 dicembre 1935 e Vittorino il 24 giugno 1946. Trascorre l’infanzia ad Orgiano condividendo le vicende belliche anche con Claudio. Nel ’51 si trasferisce in Svizzera presso una zia per lavorare i pizzi di Sangallo. Nel ’54 si sposa. Ha 4 figli. Il 24 maggio del 2008, dopo 63 anni rincontra Claudio nella casa del fratello Vittorino a Monticello di Lonigo.
Claudio e Vittorina condividono le brutture della Seconda Guerra Mondiale nella casa di Stefano Bruzzo, ad Orgiano. Sono poco più che bambini quando assistono all’incontrollabile delirio dei soldati nazisti in fuga, innescato da una spia fascista che denuncia l’esistenza di tre ipotetici partigiani. E’ la notte del 25 aprile del 1945 quando nel piccolo paese dei Colli Berici si scatena l’inferno. Dopo 63 anni Claudio incontra per la prima volta da quel tempo Vittorina, nella casa del fratello minore Vittorino. I due ragazzi di allora hanno moltissime cose da raccontarsi, sono due fiumi in piena. Vittorina Bruzzo ha gli occhi lucidi: “Il 25 aprile arrivarono gli alleati anche ad Orgiano e la gente per la strada manifestava incredula la propria gioia. Tra il berciare delle persone mio padre Stefano, assieme ad altri 5 compagni, gridarono più volte “evviva gli americani”. Uno di loro era un traditore fascista che andò a raccontare il fatto ai tedeschi, ricamandoci sopra. Il comando americano era insediato in paese a Villa Piovene. Sul far della notte, una colonna di soldati tedeschi a piedi, dotata di armi leggere, saliva dalla bassa Pianura Padana senza farsi notare e circondava i ruderi del vecchio castello di Orgiano, situato a nord del comando americano. A pochi metri, la casa di Stefano. I soldati, con polveri soporifere cosparse sui davanzali delle finestre e gettate all’interno della stessa, resero il sonno della famiglia Bruzzo, più pesante. I tedeschi bussarono alla porta intimandone l’apertura. L’indomani la prima a svegliarsi fu la mamma Maria che ebbe immediatamente una sensazione strana. Il fienile fu devastato e la paglia utilizzata nei camminamenti e nei bunker scavati nei dintorni. L’abitazione saccheggiata da ogni alimento, Stefano picchiato selvaggiamente e calpestato con gli anfibi. Ne conservò le ecchimosi per diversi mesi; alla nonna fu sferrato un pugno alla mascella per aver tentato di aprire un balcone. Il nonno fu risparmiato a causa dell’età. Maria teneva stretta Vittorina tentando di uscire dalla porta della cucina ma le si parò davanti una folta schiera di soldati con armi spianate. Si diresse alla porta della cantina ma Vittorina fu bloccata da un fucile puntato al petto. A Maria fu negato il permesso di andare al rifugio di Villa del Ferro anche se le bambine avevano molta paura. Claudio e Fernanda si erano intanto nascosti in una stanza al piano superiore dietro ad un armadio che celava una dispensa dove mio papà riponeva scorte di cibo per i momenti difficili. I tedeschi cercavano tre uomini ed erano risoluti. I due ragazzi nascosti si calarono per una grondaia esterna ma furono scoperti e fermati. A questo punto i tedeschi concessero a Maria e alle bambine di andare al rifugio. Avevano catturato Claudio, Stefano ed il nonno, i tre uomini. A quel tempo la corrente elettrica era ancora un’ipotesi e tutto si svolse nell’inchiostro della notte. A piedi nudi ci incamminammo verso il rifugio, la nostra mente era occupata dal pensiero di salvarci la pelle e della sorte che sarebbe toccata ai nostri cari. Strada facendo avvisavamo quante più persone potevamo della presenza dei tedeschi”. Claudio Bernardi precisa: “Un attimo di distrazione e mi sono defilato scappando al rifugio così i tedeschi iniziarono a preoccuparsi ma casualmente venne alla casa di Stefano un poveraccio in cerca di latte che fu indicato loro come il terzo uomo. Si tranquillizzarono allontanando il pensiero che qualcuno potesse avvisare gli americani che invece furono informati dal parroco. Gli americani iniziarono a fare fuoco con le armi pesanti e distrussero il pollaio. Il parroco disse loro che c’erano civili per cui decisero di salire con i carri armati coprendo così le truppe di terra che avanzarono. Si scatenò l’inferno! I tedeschi, dotati solo di armi leggere avevano sparato talmente tanti colpi che non c’era più vegetazione e in seguito furono raccolte una decina di carriole di bossoli. Gli americani fecero oltre quaranta prigionieri”. Continua Vittorina: “quando rientrammo dal rifugio il paesaggio devastato era desolante, abbiamo anche visto uno scarpone con un pezzo di gamba dentro e sangue coagulato, bombe a mano, morti, rottami, parti di corpo umano. Sono immagini impossibili da rimuovere dalla memoria. Dopo qualche tempo trovammo anche Fido, il nostro cagnetto che fu sgozzato perché non abbaiasse. Nel 1947 venne a trovarmi una zia dalla Svizzera. Coltivavo la passione per il pizzo Sangallo e notando la mia precisione mi chiese di seguirla. Nel ’51 mi trasferii in Svizzera e nel ’54 mi sposai”. Riprende Claudio: “Ho sempre mantenuto un rapporto epistolare con Stefano. A guerra terminata ero ad Augusta (Sr) come capo palombaro sommozzatore della X° Flottiglia MAS al comando del Marchese Luigi Durand De Lapenne ed avevo il compito di intervenire dove ci fossero mine nella zona della Sicilia, la Calabria e tutte le isolette. Una sera ad un party in caserma il console inglese mi chiese se volevo trasferirmi in Canada o in Australia che mi avrebbe fatto una bella lettera di referenze da presentare. Così mi trasferii in Australia per circa 9 anni dove mi occupai di disegno tecnico in una carpenteria. Poi tornai per pochissimo in Italia e mi trasferii direttamente in Canada. Volli chiudere la parentesi con l’Italia, ero concentrato sul mio futuro, la mia vita”. Termina il racconto Vittorina che aggiunge: “Così trascorsero gli anni ed un giorno parlando con Vittorino ci chiedemmo che fine avesse fatto Claudio. Tramite un nipote abbiamo effettuato una ricerca su internet ed appurato che a Genova viveva ancora la sorella di Claudio, Mirella. Le abbiamo telefonato e così hanno ripreso i contatti. Oggi, dopo 63 anni siamo qui a festeggiare l’ottantesimo compleanno di Claudio e a vivere di ricordi”.