Multe di
milioni di euro si stanno abbattendo, ormai da troppo tempo, sui bilanci delle aziende agricole con bovini da latte. Questo tipo di allevamento è maggiormente dislocato tra il Piemonte, la
Lombardia e il Veneto. Chi esce dal plafond della quota comunitaria assegnata, viene pesantemente sanzionato. Il panico dilaga e la tensione si alza. In Lombardia, sabato 14 marzo, si è dato la
morte un giovane allevatore, impiccandosi nella sala latte, un gesto certamente emblematico, nonostante che il ministro Zaia avesse bloccato giovedì 12 marzo i pignoramenti da parte di Equitalia.
Cerchiamo di capire perché siamo arrivati a questa disperata situazione: per mantenere controllato il prezzo di determinati prodotti alimentari derivati dall’agricoltura e dall’allevamento, nel
1984, con regolamento comunitario numero 856, deciso in sede europea si instituì un regime di quote su base nazionale in modo tale da garantire anche un certo reddito ai produttori. L’ammontare
delle quote venne stabilito sulla produzione lattiera del 1983 su dati forniti dall’ISTAT la quale potrebbe avere raccolto e fornito dati deficitari.
Per tale
motivo al nostro Paese sono state assegnate quote inferiori rispetto il consumo nazionale, diventando giocoforza paese importatore. Nei successivi anni la nostra produzione aumentò oltre il tetto
delle quote imposto e le multe degli allevatori vennero pagate dallo stato. Gli stessi ministri dell’agricoltura ne incoraggiavano l’aumento di produzione. Nel 1995 la Finlandia aderì alla CEE e
denunciò che il pagamento delle multe agli allevatori da parte dello stato poteva essere un aiuto illegale e lesivo nei confronti degli altri paesi membri. Così dal 1995/96 le multe vennero fatte
pagare direttamente agli allevatori. A rendere ancor più pesante la situazione c’è l’emendamento al D.L. 411/97. Eugenio Rigodanzo, socio della Latte Italiano, è il portavoce vicentino nel
recente raduno di Vancimuglio, piazza storica dei milk warriors.
Cos’è la compensazione prioritaria contemplata nel decreto.
“Nelle regioni autonome, nelle provincie disagiate e nelle zone montane gli allevatori sono esenti dalle sanzioni previste che vanno invece a carico di chi esercita in zone pianeggianti o
agiate. In altre parole le dobbiamo pagare noi”. Che futuro si prevede per i nostri allevamenti. “L’80% del latte nazionale viene utilizzato per fare il formaggio. Dal primo di
gennaio 2009 fino al 31 marzo prossimo il prezzo del latte concordato varia dai 30 ai 34 centesimi per litro. Dal primo di aprile il prezzo sarà dai 28 ai 30 centesimi per litro. Con questo
prezzo nessuna azienda agricola italiana può sperare di farcela. In Marocco il latte lo pagano 60 centesimi alla stalla e in negozio lo si trova ad 1 € al litro. Noi non possiamo esportare il
nostro latte in Marocco poiché la politica di quel paese è a tutela dello stesso, debbono raggiungere il 70 % di prodotto interno e poi possono importare il restante. Secondo il mio punto di
vista, e me ne assumo le responsabilità, se avessimo un ministro marocchino sarebbe decisamente meglio”.
Come state procedendo a vostra tutela. “Uno studio legale partenopeo ha il mandato e sta perorando la nostra causa. Uno di questi avvocati si è trasferito in pianta stabile a Verona. Con un’amica che ha fatto la tesi sulle quote latte siamo andati a Reggio Emilia a trovare un professore universitario che fu tra i primi ad indagare nel 1984 tra le aziende agricole circa la produzione di latte. I dati raccolti allora erano di gran lunga inferiori alla realtà e sono stati maggiorati dal ministero stesso che li aveva trovati anomali. Il nostro legale inizia una nuova indagine nazionale per verificare l’esistenza reale delle aziende agricole ed emerge che molte non esistono più da tempo, a livello di stalla e bestiame ma resta in piedi la quota che verrà percepita fino al 2013, un contributo disaccoppiato dalla produzione. Si ripresenta lo stesso dato verificato a suo tempo dal generale Natalino Lecca circa le quote di carta. Con l’avvocato, si decide di far redigere una relazione ufficiale dall’Università di Sassari e Milano. Tre ricercatori hanno il compito di verificare la produzione reale rispetto ai capi allevati. Un incrocio di dati tra registri di stalla, dati ASL e sistema informatico nazionale. L’università dopo un anno e mezzo ha dato risposta: la produzione in Italia è sotto quota dal 5 al 10 %. A questo punto presentiamo il ricorso. Arriva una nuova multa e a settembre del 2008 ci rivolgiamo al TAR del Veneto presentandoci con 13 valigie di incartamenti e con la relazione dell’università che certifica che in 17 anni non c’è mai stato sforamento delle quote. Dopo 10 giorni il ricorso fu rigettato perché il TAR del Veneto non vuole responsabilità e suggerisce di rivolgersi al TAR del Lazio coinvolgendo anche il ministero competente. Ricorriamo al Consiglio di Stato. Il nostro fascicolo arriva probabilmente su qualche scrivania importante. In men che non si dica a dicembre è pronto un decreto sulle quote latte che più volte viene variato e stravolto. Decidiamo di andare a Vancimuglio. Il quotidiano nazionale Libero scrive che in 17 anni l’Italia non ha mai sforato le quote latte”.