Le norme introdotte dalla legge n. 92 del 2012 consentono di licenziare gli operai anche senza giusta causa, intaccando i diritti sanciti dallo Statuto dei lavoratori
La legge n. 300 del 20 maggio del 1970, meglio conosciuta come “Statuto dei lavoratori”, eraun accordo preso tra le parti sociali, lo Stato e i datori di lavoro che, tra l’altro,regolamentava e disciplinava in materia di licenziamento. Per arrivare a raggiungere quest’obiettivo i lavoratori, assieme alle forze sindacali, avevano lottato, subito, negoziato, mediato, fatto sacrifici, nel corso di lunghi anni, ma alla fine il risultato era arrivato e ciò che appariva come una richiesta inaccettabile era finalmente diventato un valore condiviso. Conla legge 300 l’articolo 18 era applicabile ad aziende con almeno 15 dipendenti. Il licenziamento era valido se avvenuto per giusta causa o giustificato motivo: senza questi presupposti, il lavoratore poteva fare ricorso.
Il giudice, riconosciuta l’illegittimità dell’atto di licenziamento, ordinava lareintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, il risarcimento degli stipendi non percepiti e il mantenimento delle medesime mansioni che occupava prima del licenziamento. Il dipendente, in alternativa,poteva accettare un’indennità di 15 mensilità dell’ultimo stipendio o un’indennità crescente con l’anzianità di servizio. La legge n. 92 del 2012 ha modificato il testo dell’articolo 18. Il padre di questo capolavoro è il giuslavorista Pietro Ichino. Tre le tipologie di licenziamento previste: discriminatorio, disciplinare ed economico. Nel primo caso, se il giudice lo accerta, esiste il risarcimento integrale, pari a tutte le mensilità perdute e ai contributi non versati. Nel secondo e nel terzo casol’allontanamento può essere per «giusta causa» e per «giustificato motivo oggettivo».
Se il giudice stabilisce che «il
fatto non sussiste» oppure che «il fatto può esserepunito con una sanzione di altro tipo», può decidere se applicare
la reintegrazione con risarcimento limitato nel massimo di 12 mensilità, oppure il pagamento di un’indennità risarcitoria, tra le 12 e le 24 mensilità, senza versamento contributivo.
Anche il licenziamento di tipo economico può essere motivato da «giustificato motivo oggettivo», cioè da ragioni inerenti «l’attività produttiva». Se il giudice accerta che non ricorrono gli
estremi del giustificato motivo oggettivo, può condannare l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura ridotta, da 12 a 24 mensilità, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore
e delle dimensioni dell’azienda stessa, oltre che del comportamento delle parti. Se, però, ritiene che l’atto sia«manifestamente infondato», applica la stessa disciplina
della reintegrazione dovuta per il licenziamento disciplinare.
Oggi qualcosa è cambiato: le regole, che lavoratori e sindacati erano riusciti a rendere condivisibili, non sono più valide. Con la nuova legge si procede con una ridistribuzione delle tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio degli elementi di flessibilità relativi a talune tipologie contrattuali, dall’altro adeguando la disciplina dei licenziamenti, collettivi eindividuali, con l’intento preciso – ci dicono – di rendere flessibile il lavoro. Dieci operai licenziati, però, non sono dieci persone senza lavoro con le relative famiglie alle spalle? Oggi sembra andar bene venir meno a un impegno solennemente assunto, purché esista una «giusta causa». Questa politica demagogica ci sta insegnando che sono possibili tutto e il contrario di tutto: bastano pochi arguti suggerimenti e il pacchetto è fruibile in ogni tipo di situazione, dal matrimonio alla politica, dalla religione al lavoro. Si può cambiare partito, moglie, amante, regole, praticamente tutto, senza curarsi minimamente delle conseguenze e delle imbarazzanti contraddizioni. Gesualdo Bufalino diceva: «Non il sonno ma l’insonnia della ragione genera mostri».