L’inverno quest’anno non si è neppure fatto sentire, la temperatura è stata quasi sempre mite regalandoci l’impressione di vivere costantemente un autunno fin dall’ottobre scorso. Così, le passeggiate sui nostri colli, non si sono mai interrotte, ora per raccogliere funghi, ora per raccogliere erbe. Primule, bucaneve, viole viola e viole bianche, colorano oggi le nostre uscite profumando l’aria e colorando i prati. Eppure, fra tanta meraviglia, si nasconde un’insidia che crea problemi a noi visitatori e al bosco. Passeggiando in mezzo al verde, se accarezziamo con lo sguardo le alte chiome del Pino Nero austriaco (Pinus Nigra), erroneamente chiamato Pino Marittimo, si scorgono come delle grosse palle di cotone, incastrate tra i rami più alti. Sono dei nidi di lepidotteri, estremamente dannosi per la pianta stessa e per l’uomo. I Lepidotteri costituiscono uno degli ordini più rappresentativi nell’ambito degli insetti con circa duecentomila specie conosciute nel mondo. Il loro sviluppo si articola in quattro fasi: uovo, larva, crisalide e adulto. La fase terminale vede apparire ai nostri occhi insetti noti alla gran parte delle persone soprattutto per la bellezza e i colori variopinti riferibili alle farfalle diurne, ma che comprendono anche specie meno vistose capaci di causare vari tipi di danni. L’uomo non è sempre in grado di fare una previsione corretta circa la quantità di questi piccoli animali che popoleranno i nostri boschi in quanto alcune varietà possono rimanere in diapausa, periodo di stasi dello sviluppo embrionale, nel terreno per anni. I lepidotteri che nidificano sugli alberi, all’interno di quel bellissimo bozzolo bianco, della grandezza di un pallone da rugby, si nutre dei germogli freschi che la pianta fornisce, portandola lentamente alla morte. Infatti, queste larve, comunemente chiamate "bruchi", hanno un apparato boccale masticatore fornito di un paio di potenti e devastanti mandibole. Il loro corpo, allungato e molliccio, è dotato di peli altamente orticanti che sono simili a piccoli arpioni, provvisti di punte laterali dirette verso l’apice, i cui effetti sull’uomo ed anche sull’animale, derivano dal sommarsi di un’azione fisica, dovuta alla loro particolare conformazione e all’attività chimica di una proteina solubile che viene liberata a seguito della rottura del pelo. Le reazioni del nostro corpo a simili attacchi non seguono sempre le stesse fasi, la discriminante è la nostra maggiore o minore sensibilità. Gli effetti più pericolosi possono riceverli mucose ed organi di senso, primi fra tutti gli occhi. Basti pensare che i peli urticanti presentano un’elevata capacità di penetrazione, quindi dopo un iniziale ancoraggio superficiale del pelo esso può penetrare in profondità e rimanervi per anni. Per quanto riguarda le vie respiratorie, le reazioni infiammatorie sono particolarmente gravi quando l’inalazione riguarda un quantitativo importante di massa. Il maresciallo Franchetti del Corpo Forestale dello Stato, in servizio presso la caserma di Arzignano, ci spiega che un tempo era loro compito recidere e bruciare i rami infestati. Poi la legge cambiò ed ora spetta al legittimo proprietario del fondo liberare il bosco da quest’insidia. Noi del Corpo Forestale dello Stato, continua il maresciallo Franchetti, abbiamo sempre combattuto queste larve dette anche processionarie, perché sono devastanti per il bosco, uccidono le piante. Attaccano soprattutto il Pino Nero austriaco e il Cedro. Le piantagioni che vediamo sui nostri Colli di Pinus Nigra, soprattutto nelle zone tra Lonigo e Brendola, non sono autoctone, bensì piantate dall’uomo. Un tempo, queste forme vegetali non pregiate, venivano piantate in terreni poveri perché con il loro ciclo biologico preparavano il terreno, arricchendolo di umus, per agevolare altre coltivazioni. Oggi purtroppo si è abbassata la guardia contro le processionarie ma i proprietari dei fondi dovrebbero tutelare questo patrimonio intervenendo come la legge prevede.
Attenzione quindi a dove si mettono le mani per tutti gli escursionisti di questa primavera che tra poco affolleranno i sentieri dei nostri boschi alla ricerca di bruschi, bruscandoli, asparagi di monte, tanoni, visoni e tutte le altre erbe che il nostro dialetto definisce diversamente a seconda dei paesi. Lontani allora, dalle processionarie, che una volta uscite dal loro nido si distinguono per la lunga fila indiana che formano durante i loro spostamenti.