contatore

 Dicono che la morte sciolga

ogni cosa, tranne 

i pensieri che rimarranno in eterno, tramandati, raccontati, scritti,

ma restano.

Flag Counter

Tutte le immagini, tutti i testi ed i contributi filmati, contenuti in questo sito, sono di proprietà esclusiva dell'autore e non sono riproducibili nemmeno in parte se non sotto autorizzazione scritta e firmata dall'autore stesso.

Tutti i diritti sono riservati.

I bottoni di Marirì

I bottoni di Marirì
I bottoni di Marirì

Il fiume usciva dalle colline e veniva lento verso la pianura. Sbuffava spumeggianti spruzzi d’acqua e portava con se il profumo dei boschi. All’imboccatura della valle di tanto in tanto si vedevano timidi camosci che si avvicinavano alla riva del fiume per dissetarsi, sempre attenti ad ogni minimo rumore per fuggire nella folta vegetazione del bosco al riparo dai pericoli. Gli uccelli volavano a pelo d’acqua per pescare in velocità qualcosa da portare ai loro piccoli nei nidi ben nascosti tra le fronde. In questo angolo incontaminato e puro di natura venivo con il mio padrone a correre lungo l’argine. Il suo divertimento preferito era quello di lanciarmi lontano un bastoncino di legno perché io glielo riportassi. Ogni volta che lo facevo, era felice e mi regalava un biscotto buonissimo. Non ho mai capito perché tanto correre per avere un biscotto. Lanciava il paletto e mi gridava contento “Vai Siddhi, corri, corri a prendere il legnetto e portamelo che ti dò un buon biscotto, forza Siddhi!”. Il braccio d’acqua, correndo fra i verdi campi, formava un’ampia ansa sfiorando il paese per poi correre in mezzo a sconfinate terre in cerca del mare. Quando il mio padrone si sedeva accanto alla grande betulla per leggere il suo libro, io mi sdraiavo accanto a lui, aspettando le sua mano calda che accarezzava il mio pelo liscio. Da questa posizione potevo vedere un panorama mozzafiato, ricco di colori e profumi. I campi di grano a tratti si coloravano del rosso intenso dei papaveri con macchie azzurre di fiordaliso. I fiori gialli del tarassaco davano una tonalità talmente intensa che tutto appariva come in un quadro di Van Gogh. Le api che svolazzavano tra i fiori, spesso trovavano riposo sul mio umido naso. Le formiche camminavano tra le mie zampe ed un ragno, curioso di me, mi osservava attento ondeggiando il corpo in su e in giù flettendo le sue zampine come l’ingranaggio di un orologio. Un giorno, un forte profumo di rose, colse di sorpresa il mio naso a tartufo. Era così invitante quell’aroma che mi venne perfino fame. Così un bel momento, approfittando del fatto che il mio padrone si era addormentato come un bambino appoggiato con la schiena all’albero, volli seguire il mio fiuto fino a cercare l’origine di quel profumo di rose. Quatta quatta mi allontanai e la scia mi condusse poco lontano. Arrivai ad una villa antica, ben curata, il cui giardino era pieno di rose di ogni colore e forma. Mi fermai fuori dal cancello per dare una sbirciatina. Sul viale, di fronte alla villa, che portava al paese c’era una fila interminabile di tigli a cui piedi erano collocate delle panchine. Vicino alla fermata dell’autobus notai un’anziana signora dai capelli zincati raccolti sulla nuca con un fermaglio a forma di farfalla, vestita elegantemente, con una valigia alla sua destra ed un ombrellino per ripararsi da quei pochi raggi che la chioma dei tigli faceva filtrare. Che buffo che era il golfino indossato da quella bella e attempata signora, aveva dei grandi bottoni rosa che non erano affatto intonati. Entrai furtiva, fingendo di annusare qui e là come incuriosita ma allo stesso tempo dimessa. Girai attorno al vialetto d’entrata verso la fine del quale si apriva un parco con alberi giganteschi, aiuole colorate e diverse panchine occupate da tanti nonnini intenti a parlare tra loro. Sul praticello seduti su una coperta alcuni giocavano a carte, altre signore invece lavoravano la maglia ed altre ancora risolvevano complicati cruciverba. Chi leggeva e chi dipingeva, chi intonava cori e chi ad alta voce declamava odi antiche.
Da quando ebbi modo di scoprire questa oasi di vita tranquilla, quando andavo con il mio padrone sull’argine, appena si addormentava, scappavo dai nonnini e prima di entrare, vicino alla fermata dell’autobus c’era costante la solita signora con lo stesso golfino buffo ma con grandi bottoni di colore diverso ogni volta. Da brava bassottina mi infilavo tra le inferriate del cancello e andavo a passare un po’ di tempo assieme ai miei nuovi amici che avevano sempre qualcosa di appetitoso da offrirmi e senza tanto correre dietro a bastoncini di legno. Un giorno mi attardai più del solito e quando arrivai alla casa dei nonni la signora stranamente non c’era, pensai che fosse salita sulla corriera. La trovai, con stupore, comodamente seduta ad un tavolo, sotto un pino gigantesco che raccontava qualcosa ad alcune amiche. Stetti ad ascoltare e una signora le chiese: “Ma come mai Marirì, tutti i santi giorni cambi i bottoni del tuo golfino e poi ti metti con la valigia ad aspettare l’autobus?”. Rispose Marirì: “Ma non aspetto l’autobus! Ora vi spiego: quando il mio bambino aveva pochi anni, non voleva mai mangiare. Finché un giorno, imboccandolo vidi che era attratto dai bottoni del mio golfino e che i bocconi andavano giù. Poi un giorno, andando al mercato del paese, persi l’indumento. Pensai di sostituirlo con un altro golf ma non avevo più bottoni di quel tipo e di quel colore. Il mio bimbo non mangiava più. Cercai quei bottoni per tutti i negozi possibile ma non ne trovai. E adesso sono qui, vecchia che ogni giorno aspetto mio figlio che venga a prendermi, perché lui verrà, me lo ha promesso. Ecco perché cambio i bottoni ogni giorno, perché so che quando troverò quelli giusti, lui passerà a prendermi per portarmi nella sua bella casa, sapete lui ha studiato in America, è uno scienziato famoso. Ma ora lasciatemi andare che se non mi vede mi lascia qui ancora”. Marirì prese la sua valigia e si diresse sicura verso la panchina vicino alla fermata dell’autobus. In quel momento si avvicinò al gruppetto di anziane signore perplesse, un’infermiera che replicò: “Le cose non sono proprio così, il suo bambino morì da piccolino perché non mangiava, aveva una brutta malattia e lei non se ne fece una ragione addossandosi tutte le colpe. Perse la testa e fu messa in questo istituto. Sono ormai quarant’anni che è con noi”. Così Marirì tutte le sere scuce e ricuce nuovi bottoni al suo golfino, prepara la valigia e la mattina si mette al solito posto ad aspettare suo figlio. Passarono così gli anni, alternando le stagioni e venne ancora l’inverno. Finché un giorno, poco prima del Santo Natale, una bufera di neve imperversava sul piccolo paese. Tutta la natura era avvolta da un mantello bianco e la neve continuava a scendere copiosa. Marirì preparò come sempre la sua valigia indossò il suo golfino e si diresse verso l’uscio ma fortunatamente un’infermiera la fermò e la riportò in camera. Ma dentro di sé Marirì non si rassegnava, così appena l’infermiera se ne andò lei uscì dalla stanza in punta di piedi e si diresse lesta verso l’uscita. Nevicava, nevicava. Verso mattina quando passò il furgone per la consegna del latte da dentro la villa sentirono un uomo che urlava: “Correte, correte, è successa una cosa orrenda, correte, infermiere! Aiuto, aiuto”. Le infermiere accorsero numerose in mezzo alla neve verso il cancello, verso quella panchina dove Marirì aspettava suo figlio. A terra c’erano tutti i vestiti di Marirì ed una scatola piena di bottoni colorati ma del suo corpo non v’era traccia. Le infermiere vollero pensare che finalmente suo figlio era passato a prendersela per passare assieme il Natale e l’eternità. Io corro sempre sull’argine, con il mio padrone. Lui lancia il legnetto ed io glielo riporto ma dai nonnini non ho più avuto il coraggio di tornarci.