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 Dicono che la morte sciolga

ogni cosa, tranne 

i pensieri che rimarranno in eterno, tramandati, raccontati, scritti,

ma restano.

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La casa di Arnaldo

Casetta Cimbra
Casetta Cimbra

Nelle fresche mattinate di maggio percorrevo interminabili salite, lungo sentieri che alternavano curve strette a brevi rettilinei. Circondata dalla natura che si protraeva verso me nell’intento di catturarmi, sentivo il cuore che mi esplodeva nel petto mentre mi avvicinavo sempre più alla cima della collina. L’aria mi accarezzava il viso, assieme a goccioline d’acqua, depositate sulle foglie dall’umidità della notte che stimolate dal passaggio del mio corpo trovavano il giusto slancio per colpirmi ovunque. Il sole era alto nel cielo ed il canto degli uccelli mi teneva compagnia riempiendomi di gioia. La sommità di questa collina era formata da un rado bosco misto, a lato del quale c’erano i ruderi di un pozzo dismesso di chissà quanti anni fa. Querce secolari, betulle, noccioli, rose canine e ginepri erano il naturale nascondiglio degli animaletti che timorosi mi stavano a spiare. Quando il tempo era bello andavo spesso alla collina, specialmente a primavera. Da lassù, seduta sui ruderi, potevo vedere il mio paese, bellissimo, disteso a ridosso delle colline, accoccolato come un cucciolo alla propria madre in attesa della poppata. Sicuro, protetto. Non avevo mai visto il mare e mi sforzavo di guardare l’orizzonte per scorgerne la linea blu. Mi avevano raccontato che si poteva giocare con la sabbia, costruire castelli e piste per le biglie, raccogliere le conchiglie e tuffarsi nel mare per nuotare con i pesci. Mi sentivo così vicina a Dio da sentirne quasi il profumo. Vedevo il fiume che con ampie anse ci abbracciava tutti con un gesto materno. Le piccole vie, la bottega del pane, che in alcuni giorni, quando il vento spirava da sud, portava quassù l’aroma delle pagnotte appena cotte. Poi la chiesa di Don Giuseppe, la piazza con il suo mercatino, le antiche mura della città e giù in fondo la casa di Arnaldo. Al pomeriggio, quando avevo terminato i compiti ed aiutato la mamma a sbrigare le faccende domestiche, andavo sovente a trovare Arnaldo. La sua era una vecchia casa dove filtrava poca luce, dislocata all’inizio del paese, come una guardiola, tanto che alcune delle sue stanze condividevano le antiche mura di cinta della cittadina. Era un bel vecchio, con una folta barba bianca curata e gli occhi azzurri. L’interno della sua casa era colmo di oggetti antichi di ogni tipo dislocati con ordine in ogni posto dove posavi la vista. C’erano anche moltissimi libri dalle copertine impolverate e logorate dal tempo. Gli scuri erano spalancati ed un raggio di luce colpiva una vetrinetta che esponeva una collezione di bicchierini da liquore antichi dai bordi colorati con porpora d’oro e d’argento. In un angolo c’era una credenza di legno intarsiato. I tarli avevano trovato casa in quel mobile e se si stava in silenzio era possibile ascoltarli mentre rosicchiavano il legno. Sopra la credenza c’era un centrino ricamato ad uncinetto con delle foto scattate chissà da quanto tempo contenute in cornici artigianali di colore scuro. Arnaldo era un uomo buono, incapace di qualunque pensiero cattivo, era un creativo, un artista. viveva in un mondo tutto suo. Costruiva sempre qualcosa o con il legno o con il ferro, univa sassi e ne usciva una scultura, saldava il metallo e ne scaturiva un’opera d’arte. Il suo giardino ne era la testimonianza palpabile. Viveva solo e nella sua cucinetta c’era sempre qualche dolce da offrirmi per quando andavo a trovarlo. Scriveva delle poesie bellissime e piene d’amore, forse quello che nessuna donna aveva mai saputo donargli. In ogni sua espressione artistica c’era un alone di magia, qualcosa di tribale, di onirico ed essenziale ma tutto assolutamente completo. In alcune sue forme si celava l'avanguardia della cultura, un'avanscoperta della genialità umana. Scendendo le scale che portavano alla cantina, all’incirca a metà strada, c’era una porta in legno massiccio e metallo chiusa da un grosso lucchetto. Quando chiedevo ad Arnaldo cosa vi fosse oltre quella porta egli cambiava prontamente discorso. Finché un giorno mi disse: ”Vedi Annika la dietro c’è la stanza dei segreti dove si avverano i sogni di ogni bambino che sa mantenere un segreto per tutta la vita”. Io sono brava a tenere i segreti, non ho mai detto a nessuno che papà prende le cipolle dal campo dei vicini, lo so solo io……oops ed ora anche tu. “Allora vieni Annika”. Arnaldo inserì una grossa chiave nel lucchetto ed aprì la pesante porta con un fragore assordante accompagnato da un forte cigolio. La stanza era buia, nera come la pece. Arnaldo spinse un interruttore e come per incanto si accesero una serie di luci in sequenza dal colore differente l’una dall’altra. Ognuna illuminava un quadro fatto da Arnaldo che mi disse. “Esprimi un desiderio piccola Annika”. Mi piacerebbe tanto vedere il mare che non ho mai visto, la mia famiglia è povera e forse non potrò mai vederlo, gli dissi convinta. “Allora avvicinati al quadro dove ci sono i gabbiani, il mare, la spiaggia e gli scogli. Concentrati, chiudi gli occhi e tuffati dentro e vedrai che vivrai il tuo meraviglioso sogno”. Ma la mamma mi aspetta a casa come farò a tornare, chiesi preoccupata. “Stai tranquilla, quando sentirai il canto delle sirene sarà giunto il momento di tornare e non preoccuparti per tornare a casa, sarai in orario come hai promesso alla mamma, perché il tempo, finché sarai via qui si fermerà”. Annika si mise davanti al quadro, chiuse gli occhi ed una leggera brezza le scosse i capelli. In quel momento venne inghiottita dal quadro ed ora è là lungo la spiaggia che corre con il suo aquilone a piedi scalzi in riva al mare mentre Arnaldo, seduto sulla poltrona davanti al quadro la osserva mentre esaudisce il suo sogno.