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 Dicono che la morte sciolga

ogni cosa, tranne 

i pensieri che rimarranno in eterno, tramandati, raccontati, scritti,

ma restano.

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Strega Metropolitana

Strega Metropolitana
Strega Metropolitana

Passeggiavo, concentrato nei miei pensieri, gli occhi fissavano il porfido monotono e geometricamente continuo. La mano destra teneva il pollice e l’indice della sinistra, dietro la schiena. Subivo la percezione delle persone che mi sfioravano, senza coglierne i caratteri somatici, immerso nella disattenzione civile. Una folla piacevolmente assopita nella piatta monotonia della quotidianità di una grande città dai ritmi scanditi e frenetici. Volti di cera andavano, venivano. Un melting pot di razze: formiche rosse, formiche nere. Sguardi vitrei ipnotizzati da insegne luminose intente a catturare latenti pensieri dispendiosi. Mi sentivo un piccolo particolare di questa tela urbana in continuo mutamento. Per questa strada, poco tempo addietro avevo avuto la percezione del passaggio di una creatura femminile che aveva rapito i miei sensi con il suo profumo inebriante. In mezzo a tanta gente, non riuscii a scorgerla. Ricordo perfettamente l’aroma del suo profumo. Fui colto, per un solo momento, da un enfatica leggerezza e freschezza; chiudendo gli occhi avevo come la sensazione di lievitare, distaccando dal cordone ombelicale che mi teneva legato a questo caos cittadino, ciò che restava del mio corpo rapito. Fluttuavo nella placenta dell’estasi in uno stato catatonico, senza vergogna, senza dignità. Avevo esplorato in un istante un orizzonte di sensazioni a me sconosciute. Quando tornai in possesso delle mie capacità razionali, la cercai invano con lo sguardo ma la sua presenza era svanita come se si fosse mescolata con l’aria, come un piccolo fiume riversato nel mare. Quell’incontro era diventato per me una fobia, una necessità di riviverlo, una patologia. Fui avvolto da una nube di magia, una miscela tra desiderio, curiosità, nostalgia, innamoramento, erotismo e voglia irresistibile di contatto. Questo vortice non lasciava spazio ad ogni mio tentativo di opporre resistenza. Ricevevo messaggi subliminali olfattivi. Quel profumo era parte di una donna decisa, dolce e appetitosa come una fragola matura, tenera e fragile come un raro cristallo. Una creatura speciale ed intrigante che volevo e dovevo rivedere. Così quel giorno, sotto un cielo minaccioso e grigio, attendevo il tram, come sempre, sotto la pensilina, assieme ad altri. Arrivò e con uno sbuffo d’aria compressa aprì le porte mentre la gente iniziava a salire e scendere tra lievi spinte e decisi lamenti. Finalmente annusai ancora il profumo misterioso. Chiusi gli occhi e mi ritrovai sul tram assieme a lei. Le vedevo le spalle coperte da capelli scuri, mossi. Indossava uno spolverino nero attillato. Feci un passo avanti per avvicinarmi fino a portarmi a pochi centimetri dal suo corpo. Chiudevo gli occhi e assaporavo appassionato quel profumo meraviglioso di donna. Con un gesto al limite della sensualità fece mezza rotazione della testa per spostare i capelli dal viso e alcuni sfiorarono il mio volto ed un brivido mi percorse il filo della schiena, deglutii come una belva affamata che sentiva l’odore del sangue. I miei peli si rizzarono come quelli di un gatto arruffato sostenuti da una pelle a buccia d’arancio. Deglutii ancora controllando a stento il mio primordiale istinto che mai era stato così intenso e vulnerabile. Il cuore mi esplodeva nel petto come un tam tam nel bel mezzo della foresta e forse lei lo sentiva. Da quella posizione osservavo di lei quanto più potevo, cominciai dalla testa e i capelli, non vedevo le orecchie, scesi alle spalle e poi fino al braccio destro che attaccato al corrimano sulla plafoniera del tram mostrava un braccialetto sottile in oro e mani curate, amorevoli, progettate per coccolare. I miei occhi scesero sui suoi fianchi perfetti e le gambe che teneva leggermente divaricate per compensare l’equilibrio del tram in movimento le attribuivano una sensualità irresistibile. Indossava pantaloni scuri a tubino, stretti sopra il malleolo e dei sandali che le calzavano come ad una bambola. Piedi piccolini e marmorei, come scolpiti da Michelangelo mostravano tendini da puledra. Una scultura vivente che volevo accarezzare e adorare. Poi d’un tratto si girò verso di me e ci fissammo per una frazione di un intensissimo secondo. Forse il mio cuore smise di battere, forse i miei polmoni smisero di respirare, forse in quel momento caddi in uno stato letargico fatale, forse in quel momento mi innamorai di una sconosciuta. Ero nulla di fronte a tanta bellezza. Lineamenti quasi egizi, forse giordani ma di carnagione bianca e italiana più che mai. Occhi profondi come l’Oceano, ostentavano una timidezza bambina. Sembrava uscita da un quadro di Tamara de Lampicka. Dovevo solo capire se era tentazione demoniaca o purezza angelica. Una crogiolo per mescolare due detonatori micidiali che hanno messo in ginocchio il muro che cingeva il mio cuore. Una back-door per risvegliare sensazioni recondite adolescenziali, una nuova giovinezza. Avevo quasi paura e vergogna di provare ancora emozioni dimenticate. Alla fermata successiva scese dal tram, turbata e forse incuriosita. La seguii. Con passo lesto da gazzella, entro in un pub, ordinò tra la confusione qualcosa che non compresi. Era inquieta, come braccata e il suo respiro era affannato. D’un tratto le nubi oscurarono il sole e cadde una pioggia incessante a scroscio. Sollevò il bavero dello spolverino e uscì decisa dal locale dileguandosi in mezzo all’acqua nebulizzata che cadeva copiosa e abbondante. Tentai di inseguirla ancora ma fuori dal locale c’era solo pioggia a scroscio che impediva di vedere. Lei non c’era più. Disciolta nell’acqua, nel vento, proprio così com’era arrivata. Le nuvole erano a tratti scure a tratti chiare, in alcuni punti si diradarono ed uscì un occhio di sole mentre ancora pioveva. A nord verso le montagne uno stupendo arcobaleno colorava tutto il cielo. Era l’ultimo saluto di questa stupenda strega metropolitana che con il suo passaggio aveva innescato in me sensazioni ormai dimenticate.