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 Dicono che la morte sciolga

ogni cosa, tranne 

i pensieri che rimarranno in eterno, tramandati, raccontati, scritti,

ma restano.

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Il sasso di Amelia

Lungo il fiume Shannon, che sorge dal Monte Cuilcagh ad un’altezza di 72 metri sul livello del mare, nel cuore dell’Irlanda esiste una casa galleggiante molto antica, ormeggiata nei pressi del lago Ree, uno dei tre laghi più grandi formati da questa tranquilla vena d’acqua. Questo barcone adibito ad abitazione ha la chiglia colorata di blu e la cabina rosa confetto. Sul lato a ridosso della terra ferma c’è la scritta “Madjus”. Tutt’attorno al corrimano della barca ci sono dei bellissimi vasi di fiori dai colori più variegati, delle combinazioni così appetitose che viene voglia di mangiarli. Il profumo è talmente forte e dalle essenze rare che anche le api che si avvicinano per succhiarne il polline si muovono in modo talmente goffo da apparire ubriache. Ma il fatto che lascia davvero perplessi è il grande numero di gatti di razze diverse che vivono in ogni posto della Madjus. Ce ne sono sugli oblò, a poppa, sul ponte, a prua, sui vasi di fiori, sulla cabina e sul grande camino. Proprio dappertutto. Il miagolio è talmente fragoroso che sembra il lamento di un gigante: miaooo, maooooo, miaooooooooo. Nei pressi della riva del lago Ree dov’è attraccata la Madjus, si estende un grande prato d’erba novella di un colore verde chiaro, al centro del quale si innalza verso il cielo una grande stele d’epoca vichinga. In questa casa galleggiante, oltre ai fiori, le api e i gatti, ci vive Amelia, un’attempata e trasandata signora che porta dei capelli lunghi e bianchi con un copricapo bizzarro appuntito all’apice e larghe tese. Ha un grosso naso a patata e le mani nodose, indossa stivali gialli in gomma ed un grembiule a fiori sopra la sottana nera. La camicia bianca a pallini rossi non la fa passare di certo inosservata. Quando si reca in paese, racconta a tutti di avere ottenuto da Odino poteri magici, di sentire gli oggetti parlare, di poter trasformare gli oggetti e di essere l’ultima discendente della famiglia svedese dei Gauti e l’unica in grado di leggere le Rune che sono dei testi che richiamano le antiche incisioni dei Germani. Runa significa sussurrare. Amelia diceva: “L’uomo non deve incidere le Rune se non sa leggerle correttamente, più di uno sciagurato è caduto su un'asta runica poco chiara. Ho visto 10 aste runiche intagliate su un osso di balena raschiato che prolungavano ulteriormente una lunga malattia”. Per tutti in paese era la “Amelia la matta del fiume” ma lei non vi faceva caso, se ne andava borbottando “Eh si, lo conosco bene io il mondo!! Sono più di trecento anni che lo conosco!”. Tra la Madjus e la stele, in quel breve tratto di prato, c’è una montagnola di sassi. Un giorno, mentre Amelia ritornava dal macellaio del vicino paese dove si era recata per avere un po’ di frattaglie per i suoi gatti, notò che su quel mucchietto di sassi, qualcuno aveva gettato un bellissimo cavatappi di metallo tutto lucido. Le sue orecchie udirono anche un furibondo litigio tra il cavatappi e un sasso tutto imbrattato di fango che aveva vicino. “Guarda come sei sporco di fango, sei lercio e brutto”, diceva il cavatappi al sasso, il quale si difendeva ribattendo “Se ti hanno gettato un motivo ci sarà, con la tua punta acuminata avrai bucato le dita a qualcuno”, continuò il cavatappi “Non è vero che mi hanno gettato, mi hanno perso!”. Amelia, stanca di sentire il povero sasso di ricevere un sacco di ingiurie ed offese, gli si parò di fronte e togliendosi il cappello, alzò gli occhi al cielo e disse: “Tuoni e saette, correte liocorni e fate che piova per 11 giorni”. Non fece neppure a tempo a pronunciare quelle parole che iniziò a cadere una pioggia scrosciante. I gatti, che erano sornioni sdraiati a fare la siesta, dallo spavento si infilarono tutti sotto coperta e nella plancia della barca. Ognuno di loro trovava posto sopra ad un cappello diverso e lì vi faceva la nanna. Intanto nel mucchio di sassi vicino alla stele, il cavatappi era diventato tutto ruggine ed il sasso si era pulito dal fango ed era diventato lucente come una gemma. Amelia lo raccolse e abbagliata da tanto candore lo tenne per se conservandolo in uno dei suoi tasconi del grembiule. Un giorno passò di lì un balordo, uno di quelli che vivono di espedienti, inventandosi la giornata momento per momento. Barcollava ora a destra e ora a sinistra urlando parole senza senso e canticchiando canzoni improbabili. I suoi pantaloni laceri puzzavano tremendamente di ogni schifezza e la sua maglia di lana in origine doveva essere marrone chiaro. Aveva un basco che nascondeva capelli rossi particolarmente unti. Quando arrivò in prossimità della Madjus urlò: ”Amelia, vecchia pazza, dove sei?”. Amelia era nella sua casa galleggiante, intenta a cuocere qualche intruglio da trangugiare tranquilla. E il balordo ”Amelia, vecchia pazza, esci che voglio vedere quanto sei brutta e laida”. Amelia pensò tra sé e sé che questo personaggio avrebbe avuto bisogno di una lezione. “Amelia esci da quella bagnarola che ti voglio tagliare i capelli di stoppa che hai”. Amelia, che non aveva paura di nulla e non si lasciava ripetere le cose usci fuori. Mise le braccia ai fianchi e disse: ”Tu! Cosa vorresti farmi? Ha ha ha, allora vieni pure a prendermi”. Il balordo sempre camminando indeciso ed un po’ intimidito dalle parole di Amelia che lo colsero alla sprovvista, tentò di avvicinarsi a lei e quando le fu ad un metro circa di distanza Amelia si tolse il cappello, estrasse la pietra bianca dal tascone del grembiule la puntò verso il viso del malcapitato, guardò al cielo e disse: “Rupi e dirupi da me tutti i lupi, fauni e folletti correte perché trasformate in gatto quest’uomo per me”. Come un incantesimo il basco cadde a terra in una nuvoletta di fumo ed un gattino impaurito iniziò a miagolare. “Vattene con i tuoi amici sulla Madjus” riprese decisa Amelia “Ed impara le buone maniere, fila!”. Tutte le persone che dimostravano cattiveria e intolleranza, Amelia le puniva, le trasformava in gatto anche per anni e quando avevano imparato la lezione scioglieva l’incantesimo e li lasciava liberi. “Domani”, commentò tra sé “ proverò a vedere se Cinerino ha imparato la lezione”. L’indomani prese in braccio Cinerino, lo portò davanti alla stele ed invocando Odino pronunciò queste parole: “L’uomo cattivo che era in questo gatto qui, fa che s’anneghi nel lago Ree. Dal fondo del lago un tuono e un bagliore perché quest’uomo sia davvero migliore” L’incantesimo accade. E il gattino Cinerino diventa un omone che spaesato si mette in ginocchio e ancor prima che Amelia le chieda qualcosa lui chiede perdono e promette che sarà un uomo più buono.